«Tu non hai una casa? E neanche un lavoro, vero?» chiede Giosuè. Ronnie accende una sigaretta e si accarezza la lunga barba. «Sono un pellegrino, itinerante come le rondini. Non possiedo nulla… neanche catene al collo. Sono uno di quei fannulloni ripudiati dalla famiglia, che ha macinato chilometri ed è popolare e benvoluto dalla gente. Vedi, non essendo legato a nulla e nessuno, sono diventato una specie di proprietà pubblica e ho tempo per tutti. Racconto novelle reali e fatti inventati per aiutare le persone a vedere le cose in modo diverso. Creo equilibrio e armonia dentro di me, poi le butto nel cuore delle persone. Rincorro la saggezza sapendo che non la raggiungerò mai.» Il bambino non capisce bene il significato di quelle parole, ma ne assimila il senso profondo. A lui quel signore sembra uno dei Magi e non un uomo senza una casa.
Milano, 2000
La mia seconda vita iniziò così: senza ricerca. Piovve dal cielo, come manna o una disgrazia necessaria, ed io accettai un volere più alto e meno comprensibile del mio.
Mi ero fermato a Milano e grazie alla “pubblicità” di Walter, il senso della mia esistenza cambiò.
Durante una lezione in Università, disse che ascoltare le vicissitudini di chi la vita l’ha passata per strada, può essere illuminante per chi invece ha solo tante parole stipate nella testa, e raccontò della piacevole serata passata insieme.
L’inizio fu timido, venne qualche studente a conoscermi più per curiosità che altro, poi qualcuno iniziò a domandarmi cosa pensassi di questo o quello, qualcun altro chiedeva consigli pratici, di vita, che in verità io mai pensai di poter dare.
E invece sempre più spesso mi ritrovavo a parlare di cose che non sapevo di sapere, come se non fossi io a dire, come se dentro avessi qualcuno molto saggio che suggeriva. Dopo non ricordavo tutto quello che avevo detto, ma restava una sensazione piacevole e stranamente famigliare.
In quelle occasioni, io stavo in disparte da me, un po’ come Chiodo quando armonizzava il mondo suonando. Se riuscivo nell’esercizio di assenza, le parole sgorgavano dalla bocca come acqua di fonte che inzuppa una terra arida, risvegliando semi assopiti.
Parole-primavera, pensai.
E così prese corpo la leggenda di un tizio che aveva raggiunto l’illuminazione non in un monastero, ma per strada, questuando quel poco che gli occorreva per vivere, e Ronnie Consiglio divenne quasi famoso.
Non sempre riuscivo a produrmi quello stato particolare, ma potevo favorirlo dormendo qualche ora a fila, bevendo poco vino e mangiando quel tanto da non avere fame.
Imparai a ricercare ogni giorno quel modo d’essere in me, quell’assenza dalla mia persona che era una presenza, fino a ottenerla a comando, all’occorrenza.
La vita prese una direzione inaspettata.
Non compresi subito il significato e la meta di questo sentiero, ma se riuscivo ad aiutare qualcuno, mi sentivo bene, come quando si fa un lavoro giusto, uno di quelli con la ricompensa incorporata.
L’intuito si affilò, era un rasoio che tagliava l’eccedenza, andava al nocciolo di un problema e toccava il cuore della gente.
Non chiedevo niente in cambio. Qualcuno lasciava del cibo o qualche soldo, altri nulla, io non me ne curai mai, e quello che racimolavo lo condividevo con amici e compagni.
Il mio compenso era quella possibilità di farmi “affittare”.
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