I ricordi sono lampi in un cielo terso. Visioni e sensazioni nitide, suoni precisi. Le esperienze, incise sul suo “disco fisso”, sono vissute come se accadessero in quel preciso momento. Ronnie si affaccia alla balaustra della sua anima e rivisita il passato: il poggiolo è in bilico, ma lui da molto tempo ha abbandonato la paura, vive la serenità della consapevolezza di non essere solamente quel mucchietto di stracci ai piedi dell’enorme pianta. Immagini repentine, inattese e razionalmente scollegate. Un vigile dirige l’incrocio che vomita con calma autoveicoli, a rallentatore, e i gesti diventano danza: note scritte sull’asfalto incandescente. Voci di un coro gospel aleggiano nella piazza di una chiesa alla vigilia di Natale, increspando l’aria e facendo cadere bellezza sull’esistenza di chi ascolta. Un albero in mezzo alla rotonda della tangenziale agli inizi di dicembre: il sole è basso e illumina le foglie gialle rimaste aggrappate, una brezza le fa vibrare, sono migliaia di luci che si accendono e spengono. La bellezza sta nell’animo di chi guarda. Il tuono è la conseguenza dei lampi delle visioni. È un rumore che non spaventa, ma sbriciola il terrore che nasce dall’ignoto o da qualcosa di nuovo e non calcolato. La bruttura sta negli occhi di chi vede all’esterno le proprie ansie e insicurezze, i ben radicati dubbi e sospetti.
In giro per l’Italia, 1981
Non ci si accorge subito, è un accomodamento progressivo, subliminale, che bypassa la razionalità.
L’uomo si adatta a ogni cosa. Il requisito principale è la gradualità d’immergersi nella melma. Poi occorre la sana convinzione di non avere altre vie d’uscita, o pensare all’emarginazione come una salvezza.
La società è un leviatano che non è riuscito a inglobarmi e per questo mi ha sputato e tenuto fuori portata, ma in bella mostra.
Il barbone è un equilibrio per la società, una presenza scomoda ma necessaria, è un ammonimento a come si riduce chi non si adegua al sistema.
Iniziai timidamente, poi presi coraggio e conobbi sempre più il mondo dei paria e dei reietti. Erano creature silenziose e trasparenti, in bilico sul bordo bianco di un foglio scritto con l’inchiostro della collettività.
I senzatetto non fanno parte della piramide sociale, sono all’esterno ma provengono da essa, sono fuori ma occorrono e quindi, in ultima analisi, sono anche dentro. Lo stesso succede a me, quando guardo da fuori il mio corpo senza riconoscerlo e non sono coinvolto da ciò che gli accade.
A volte il corpo è per me quello che i clochard sono per la società: un frutto guasto che ha creato una pianta storta ma indispensabile.
Per certi aspetti è piacevole e conveniente vivere sul bordo bianco, ma quasi mai confortevole.
Comunque mi abituai ai disagi e alle difficoltà, aiutato da un amico che non chiede nulla in cambio, se non la sua continua presenza, fino a che non riesci più a vivere senza di lui, e così l’alcol diventa un’indispensabile stampella.
È incredibile quanto riesca a bere una persona nell’arco della sua vita.
Un fiume di vino!
Quando iniziai a girovagare avevo la sensazione di essere un elastico appena un po’ tirato nello splendore della sua flessibilità.
Con il tempo l’elastico si allungava per le intemperie, i compagni di viaggio sleali, gli sguardi di compatimento e le tribolazioni fisiche, qualche volta si accomodava grazie alla comprensione e alla generosità che la Vita e qualche suo raro figlio offriva gratuitamente.
Ci sono stati dei cedimenti e all’inizio ho temuto che l’elastico si rompesse. Poi ripensavo agli istituti d’igiene mentale, ai farmaci, all’annullamento dell’essere e tiravo avanti un poco, mettendo un piede in fila all’altro e mi riadattavo. Ultimamente, invece, cerco il punto di rottura di quell’elastico come una liberazione.
Mi sono accorto che dalla percezione del limite estremo, allo strappo vero e proprio, ci passano un sacco di respiri. Al peggio ci si abitua. Un momento prima era inconcepibile e un attimo dopo è normale, perfino ordinario.
Il dolore è una prova che tende l’elastico senza spezzarlo.
Poi un giorno capii che le difficoltà della vita sono questo elastico, legato su un Arco Divino che alla fine mi scaglierà chissà dove.
Io sono la freccia!
Più l’Arco si tende più lontano arriverò.
Sono trent’anni che tendo la mia vita.
All’inizio aspettavo con curiosità la lacerazione, a volte la sfidavo ricercandola, oggi resto passivo come un dardo che non sa dove affonderà la testa e se farà centro nel bersaglio che non ha mai visto e non può vedere.
Poi mi chiesi: chi è l’Arciere?
Con questa domanda iniziai a leggere un libricino blu scritto in quattro lingue. Lo trovai intonso in un cassonetto dietro ad un supermercato mentre cercavo del cibo, sulla copertina rigida c’era scritto: il Nuovo Testamento.
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